domenica 10 aprile 2016

Mondi vicinissimi: Franco Battiato e la fantascienza /1


INTRODUZIONE

La scomparsa, qualche mese fa, di David Bowie e la conseguente – non nuova e senza dubbio legittima – associazione del suo nome alla science fiction mi hanno portato a ragionare su quali siano le forme d'arte o, più in generale, i tipi di media per i quali si può parlare di fantascienza.
Per quanto possano essere diversi i criteri definitori e motivate le rinunce a una definizione, nella maggior parte dei casi siamo in grado di riconoscere come fantascientifici un romanzo o un racconto, un film o un fumetto; una qualsiasi produzione apertamente narrativa. Certo, non si ci sono solo opere che costituiscono il “centro” del genere e che vi vengono ascritte col più ampio consenso: esistono anche opere meno inquadrabili, che suscitano dibattiti sui sottogeneri e sulle “periferie” del genere stesso; discussioni che non necessariamente approdano a un punto fermo. Ma, in entrambi i casi, si sa almeno a cosa guardare: in primo luogo ai contenuti (temi e topoi, immaginario, personaggi…); in secondo luogo – secondarietà sulla quale si può comunque discutere – alla forma (stile, struttura, linguaggio…).

Con queste premesse, che dire dunque della musica? Può essa definirsi fantascientifica in senso stretto, prescindendo dai testi e dai contesti ai quali è associata? Arte difficilmente oggettivabile, arte che esiste solo quando è eseguita o riprodotta, la musica sembra insofferente a qualunque caratterizzazione tematica forte. Persino il fatto che “tema” sia un termine musicale autonomo suggerisce che, tema a se stessa, la musica possa accogliere solo in un certo senso temi che siano altro da sé.
Se è vero che la musica può avere una profonda vocazione narrativa e descrittiva, bisogna anche dire che la narrazione e la descrizione musicale sono veicoli di senso e di significato che però non giungono a individuare un referente.
Difficilmente riconducibile alla fantascienza in modo diretto, la musica ne è però degnissimo complemento. Penso ovviamente alle canzoni e alle colonne sonore e noto come, in effetti, alcuni generi musicali siano “più fantascientifici” di altri, nel senso che sono più spesso abbinati a contenuti legati alla science fiction. Penso al “rock”, alla musica “classica” a quella “elettronica” (perdonate l’uso spudorato delle virgolette per evitare la complessità: consideratele apposte ogni volta che ricorrono questi termini). Per questi tre generi, credo che le caratteristiche intrinseche non possano essere distinte da considerazioni storiche.
Se associo la musica classica (o comunque l’impianto orchestrale classico) alla fantascienza non riesco a decidere se sia più perché entrambe hanno gli strumenti per accedere all’attrattiva di un’epica fuori dal tempo o se sia invece perché, intuìto quanto sopra, tale genere musicale sia stato legato indissolubilmente alla science fiction attraverso le fanfare di Strauss in 2001 Space Odissey o attraverso la colonna sonora di Star Wars, composta da John Williams alla maniera de I pianeti di Holst.
Se vi associo il rock di un Bowie (per non parlare dello “Space rock”), oltre all’evidenza dei testi, è perché in un dato contesto storico fantascienza e musica rock furono tra le manifestazioni più di spicco di un anelito ribelle e anticonformista e finirono naturalmente associati? O perché vi è invece un legame più profondo, preesistente, di ethos, forme e strutture?
Se penso alla musica elettronica e sperimentale come colonna sonora perfetta per un film o per la lettura di certa narrativa di fantascienza – e qui il discorso è ancor più complesso – sono debitore della colonna sonora del Pianeta proibito e dello straordinario Vangelis di Blade runner? Oppure è perché una certa musica sperimentale è estrapolazione rivolta al futuro del mondo sonoro contemporaneo allo stesso modo in cui la fantascienza è estrapolazione del contesto sociale, antropologico e tecnologico? O, ancora, per il sottile piacere dell’ambiguità tra la funzione diegetica o extradiegetica del suono in un film di fantascienza? In altre parole: ciò che sentiamo nelle due colonne sonore sopra citate è il possibile rumore di ciò che vediamo o la sua trasposizione simbolica? E, per tornare alla classica e a SW, il ripetuto frizzare, quasi un suono bianco, delle spade laser è in primo luogo nella sceneggiatura o nella partitura?
Poche certezze, tanti interrogativi. Che rivolgo a me stesso e a chi ha avuto la pazienza di leggere fin qui. Una cosa invece posso dare per assodata: ovvero che più ancora di Bowie e delle colonne sonore di film amati, il mio punto di riferimento a cavallo tra musica e fantascienza è Franco Battiato.

Battiato nel 1971, in una pubblicità dei divani Busnelli (foto di Gianni Sassi)

Si potrebbe pensare che il settantenne cantautore siciliano, eccentrico sperimentatore di forme e linguaggi eccetera, abbia solo sporadicamente incrociato la fantascienza, nelle sue peregrinazioni pop e mistiche; che, tra una visita a Teheran, un Disco d’oro e una Targa Tenco, abbia a volte trovato il tempo di fantasticare alzando gli occhi al cielo, molto prima di sapervi orbitante l’asteroide 18556 che porta il suo nome. Invece la prospettiva fantascientifica è tra le costanti della sua produzione cantautoriale, ed è alla base di alcuni suoi album.
Grande artista, musicista, interprete, intellettuale, “personaggio” a tutto tondo, Franco Battiato è, solo dopo diverse altre definizioni, “cantante” nel senso più comune del termine. Qualche mese fa, a un concerto, poco dopo la prova dell’esistenza delle onde gravitazionali – chiunque ami il Maestro, in quell’occasione pensò a La cura – ne ho avuto la riprova: con poca voce, senza falsetto e, ad essere onesti, neanche tanto pronto di riflessi, ma non importa, anzi. Battiato si è dimostrato quel che è sempre stato: poeta e narratore. Si siede, accompagna la sua performance con gesti delle mani lenti, misurati, espressivi; va fuori tempo e non si sa se lo faccia di proposito; se non arriva a prendere le note delle canzoni della sua gioventù, senza scomporsi, passa a un recitativo o a un parlato.
“Parlami dell’esistenza di mondi lontanissimi – canta, o dice – di civiltà sepolte, di continenti alla deriva. Parlami dell’amore che si fa in mezzo agli uomini, di viaggiatori anomali in territori mistici. Di più: seguimmo per istinto le scie delle comete come avanguardie di un altro sistema solare…”
Dinamiche di vasta antichità letteraria: la narrazione inizia con l’invito a narrare…
Ma non è il caso di affrettarsi. Mi fermo qui, per riprendere nel prossimo post, per cominciare dall’inizio.

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